Lux Bradanini e Antonella Catalano, Grosio. Il paese nella gente
Progetto fotografico diventato libro: 201 ritratti fotografici, 201 persone, 201 voci, 201 frasi.
Progetto fotografico diventato libro: 201 ritratti fotografici, 201 persone, 201 voci, 201 frasi.
Ideazione
Lux Bradanini
Fotografie
Antonella Catalano
Testi
Gerardo Monizza
Gabriele Antonioli
Elisabetta Pruneri
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Gente e Paese: un gruppo dentro uno spazio; una comunità all’interno di un confine riconosciuto che è un luogo con un proprio passato, con tradizioni, con riti sociali, con abitudini radicate, con intrecci di persone. Amori, dolori, rancori… Tale è il paese; tale la sua gente. Così ovunque. La storia di Grosio non fa eccezioni tranne che si perde in lontanissime Età dell’uomo i cui segni – riconoscibili e verificabili tuttora – sono incisi nel sasso della Rupe magna come un titolo d’onore per tutte le generazioni che in queste valli hanno vissuto. L’antichità delle proprie origini è – per quelli d’oggi – una responsabilità culturale e quasi morale. C’è un’origine che dà un segno distintivo come le rughe orizzontali nei visi delle persone che, invecchiando, si coprono di tracce: sono impronte che vogliono essere lette. Il libro Grosio Il paese nella gente, tuttavia, non ha un sol rigo di storia (quella intesa come una sequenza di racconti di eventi, fatti, persone dalle origini ai nostri giorni), ma ha tutta la storia del paese scritta nei visi delle persone ritratte. Così va letto. Non basta osservare le facce come ripresa di un volto; come qualcosa di estetico (mi piace non mi piace) o di come le persone “son venute bene”. Come le parole di una storia non van lette separatamente l’una dall’altra (che non avrebbe alcun significato) bensì nell’insieme della frase, del periodo, del capitolo… così i ritratti dei grosini e delle grosine sono le parole di una storia scritta negli sguardi, nei sorrisi, negli stupori (anche stupore: perché sono qui? sembrano domandarsi alcuni). Ogni immagine è un segno consapevole di un soggetto che ha ben compreso il senso della fotografia; che non è solamente mettersi in posa, lasciarsi riprendere, attendere lo scatto e liberarsi quasi con un sospiro di sollievo. In dialetto grosino fotografare si dice futär termine che mantiene una vaga somiglianza lessicale, ma c’è un modo lombardo (abbastanza diffuso in molte zone) che rende il verbo fotografare con un concetto più preciso: fas tirà gió. Si traduce solitamente in farsi riprendere (con significato di ritrarre) benché riprendere sia riduttivo, semplicistico. Invece, “farsi tirar giù” si può intendere come “concedersi” o anche “lasciarsi andare” o meglio ancora “rivelarsi”. Si potrebbe dire “raccontare”.
Specifiche Tecniche
- Editore
- NodoLibri
- Pagine
- 222
- Mese Pubblicazione
- Dicembre
- Anno pubblicazione
- 2023